U CARRETTU

Storia e origini del carretto siciliano

dolce-and-gabbana-il-carretto-siciliano-top-banner-desktop

aprile 2016

Tempo di lettura: 0 min

Un mezzo di trasporto su cui la tradizione ha impresso le sue forme, inciso le sue storie, le sue memorie: scopri le origini del carretto siciliano.

 

È uno dei simboli più noti dell’iconografia folkloristica siciliana: nato come mezzo di trasporto che rispondeva a esigenze pratiche, il carretto si è poi trasformato in un veicolo di trasmissione culturale. Sulle sue diverse parti, infatti – tramite la scultura e la pittura – venivano rappresentati momenti della storia dell’isola, dell’epica o della religiosità popolare, dando vita a preziose costruzioni, vere opere d’arte itineranti. Scopri con noi la bellezza di questa tradizione tutta siciliana.

Il carretto siciliano è strettamente legato alla storia dell’isola, ma non è sempre esistito: dalla caduta dell’Impero Romano il deterioramento della rete viaria aveva reso pressoché inutilizzabili i veicoli a due ruote. È solo con i primi dell’800 che il carretto inizia a diffondersi: prima di allora tutti i commerci e i trasporti avvenivano perlopiù via mare. Trainato da un cavallo, il carretto inizia da quel momento a essere usato per il trasporto di legna e prodotti agricoli: sacchi di grano, legumi, agrumi, mandorle, botti di vino. Il suo utilizzo per il trasporto è però venuto meno con la seconda metà del XX secolo con la diffusione dei veicoli a motore, ma esso continua, come vedremo, a esercitare il suo fascino sulla sensibilità popolare e dei turisti.

Il carretto ha dimensioni piuttosto ridotte ma per la sua complessità – con le varie parti codificate in modo preciso per forma, struttura e decorazione – richiedeva un gran numero di artigiani e competenze. La realizzazione del carretto prevedeva infatti una complessa organizzazione del lavoro, perché impegnava più gruppi di artigiani con specializzazioni diverse. Era il prodotto di diversi mestieri: un intagliatore realizzava tutte le parti in legno (usando vari tipi di legno, come il legno di noce o di faggio), un fabbro si occupava degli elementi in ferro battuto, un “carradore” assemblava le varie parti e un pittore decorava tutte le superfici su cui è possibile dipingere (le parti che si prestavano di più erano le pareti della cassa del carro, dove era possibile raffigurare intere scene).

 

La pittura dei carretti aveva poi un suo stile preciso: nelle rappresentazioni tutti i personaggi della scena erano posti in primo piano, attraverso una prospettiva elementare, stilizzata, semplice. Le figure erano tendenzialmente bidimensionali. I colori erano tipicamente molto accesi, senza ombreggiature, né sfumature. Concentrato di creatività e tecnica minuziosa, la cura dei dettagli caratterizzava l’attività dell’artista intagliatore e del decoratore nel cimentarsi nell’intagliare e poi decorare tutte le parti del carretto. Così anche un elemento puramente meccanico – come la ruota – diventava un incantevole opera d’arte. Dal legno potevano infatti prendevano forma scene di battaglia messe in risalto dai tanti colori brillanti.

 

Il sapere di questi artigiani non è scomparso, per quanto molto meno diffuso: esso è stato gelosamente custodito e tramandato nel tempo, da padre in figlio. Un sapere ricco, complesso, tenuto vivo da una tradizione di famiglie di artigiani.

Il carretto era un mezzo di trasporto che univa la funzionalità alla trasmissione di storie e racconti: era una sorta di libro illustrato ambulante, dove di volta in volta veniva raffigurati episodi storici, letterari, religiosi o cavallereschi. L’usanza di dipingere le varie parti del carro si afferma e diventa tradizionale perché assolveva diverse funzioni: era una protezione che preservava più a lungo il legno con cui era realizzato il carretto, ma aveva anche una funzione scaramantica: le scene raffigurate (spesso religiose) venivano considerate di buon auspicio, dotate d’un potere protettivo, del potere di allontanare la malasorte, gli eventi negativi. Le pitture potevano avere, inoltre, una funzione pubblicitaria, soprattutto per i carri con funzione commerciale: erano utili per attirare l’attenzione gli acquirenti e manifestare uno status symbol che dimostrasse la ricchezza del proprietario. Una vera e propria “smania” decorativa caratterizzava i carretti siciliani: un gusto per la ricchezza di forme e colori che si estendeva a tutto il carretto e interessava anche il cavallo, come per un desiderio di massimizzare la presenza di colori e effetti decorativi, in un’abbondanza cromatica davvero notevole. A seconda delle diverse zone della Sicilia il carretto si differenziava per forme e colori: nella zona di Palermo i carretti avevano forma di trapezio, con sfondo giallo e decorazioni prevalentemente geometriche. A Catania il carretto ha invece forma rettangolare con sfondo rosso e le decorazioni sono particolarmente curate e dettagliate.

 

Col passare degli anni il carretto ha perso lo scopo originario del trasporto delle merci e ha assunto un valore emblematico per il folklore, diventando la testimonianza di un insieme di usi e tradizioni ormai in via d’estinzione.

Oggi è più che altro un oggetto d’artigianato e uno di simboli della cultura popolare dell’isola. Attualmente i carretti sono utilizzati per eventi e occasioni speciali, ad esempio si possono ammirare nelle feste popolari. Molto nota è quella di S. Alfio, a Trecastagni, in provincia di Catania: i carretti che partono di notte da Catania e da altre zone limitrofe arrivano la mattina per adunarsi nella piazzetta del paese. Per chi volesse conoscere più da vicino la storia del carretto siciliano, a Terrasini – in provincia di Palermo, e a Bronte – in provincia di Catania, ci sono due musei che conservano la memoria di questa tipica tradizione siciliana.